Terapie

Come si è potuto capire anche da questa breve panoramica, il trattamento dei tumori è una procedura complessa e articolata.

Molte sono le armi a disposizione dell’oncologo, ognuna ha delle sue indicazioni peculiari, con il suo potenziale di efficacia, ma anche con il fardello di una certa tossicità.

Per di più con il passare del tempo si affacciano sempre nuove opportunità: farmaci, ma anche tecniche chirurgiche, schemi e modalità di somministrazione della radioterapia.

Insomma non si corre certo il rischio di non trovare il trattamento adatto al proprio caso, ma forse è facile che ci si senta spaesati di fronte a tante alternative.

Senza entrare nel merito delle scelte che vengono operate dal medico, riteniamo utile fornire alcune informazioni su come si arriva a definire il campo di utilizzo delle diverse opzioni terapeutiche e prima ancora ad accertarne l’efficacia e la tollerabilità.

GLI STUDI CLINICI

Quando una nuova molecola viene identificata, si può solo ipotizzare la possibilità di utilizzarla come farmaco, in base ai risultati ottenuti “in vitro”, cioè semplificando, in laboratorio.

Per avere una dimostrazione scientificamente valida della sua efficacia è necessario somministrarla ai pazienti e osservarne gli effetti, ma questo deve essere fatto secondo regole precise che da una parte garantiscano la sicurezza delle persone che ricevono il nuovo farmaco e dall’altra consentano di stabilire con ragionevole certezza se quel farmaco sia efficace o meno e se sia sufficientemente tollerato.

L’insieme di queste regole è alla base della progettazione di quello che viene definito studio clinico o sperimentazione clinica.

Lo studio clinico viene effettuato sulla base di un protocollo, cioè un documento che precisa:

  1. quale farmaco si intende studiare
  2. cosa si vuole dimostrare (il farmaco è efficace in una certa malattia? A un certo stadio? È più efficace di un altro già usato in quella malattia? E’ efficace quanto i farmaci già in uso ma meno tossico?)
  3. le caratteristiche dei pazienti che parteciperanno allo studio (diagnosi, stato di avanzamento della malattia, età e altre caratteristiche inerenti la malattia o il paziente)
  4. le modalità di somministrazione del farmaco
  5. gli esami attraverso i quali valutare il risultato.

Esistono diverse fasi nelle quali si articolano gli studi clinici, identificate con i numeri da I a IV, via via che si procede nelle conoscenze sul farmaco.

Nelle diverse fasi si scelgono modalità di esecuzione differenti; per esempio, inizialmente si eseguono studi clinici somministrando lo stesso farmaco a dosi diverse per decidere quale sia la dose migliore, mentre in seguito, quando si è accertato che il farmaco è efficace a un certo dosaggio, si possono effettuare studi in cui si mette a confronto il farmaco nuovo con uno già in uso per decidere quale sia il più efficace.

Inoltre più si procede nelle fasi di ricerca clinica, più si aumenta il numero di pazienti che partecipano a ogni studio.

Tutto questo soddisfa, oltre alle esigenze del ricercatore di arrivare a risultati scientificamente validi, anche quelle di tipo etico, cioè di salvaguardia del diritto del paziente a essere curato nel migliore dei modi, alla sicurezza, alla privacy.

Questi diritti sono garantiti dal Comitato Etico, un organismo creato appositamente per approvare il protocollo prima che lo studio abbia inizio, tenendo conto dei vincoli di tipo etico.Inoltre il paziente prima di partecipare allo studio viene invitato a firmare un modulo che si chiama “Consenso Informato” nel quale viene fornita una spiegazione dettagliata e comprensibile dei diversi aspetti dello studio e di tutto quello che al pazientre verrà richiesto e offerto durante lo studio.

Ognuno è libero di abbandonare lo studio in qualunque momento, anche dopo aver firmato il Consenso Informato.

Partecipare a uno studio clinico non è certo un obbligo ma è un servizio utile, che si compie per il progresso della ricerca medica.

Se oggi disponiamo di diversi farmaci per il trattamento dei tumori, lo si deve anche al contributo di numerosi pazienti che negli anni passati hanno partecipato agli studi clinici che hanno permesso di accertarne l’efficacia.

Ovviamente non è possibile sapere a priori se il farmaco che si sta studiando sia migliore di quelli già in uso ma comunque chi partecipa a uno studio clinico ha il vantaggio di essere seguito con particolare attenzione e sottoposto a un monitoraggio (visite di controllo ed esami strumentali) in genere più accurato di quanto non avvenga nella normale pratica clinica.

Gli studi clinici con i farmaci antitumorali presentano alcune particolarità rispetto agli altri, anche se seguono fondamentalmente le regole appena illustrate.

Mentre in altri settori si inizia a somministrare il nuovo farmaco a persone sane che volontariamente si prestano a riceverlo, in oncologia questo non è possibile a causa della tossicità di molti dei farmaci impiegati.

Si procede allora in modo diverso, mettendo alla prova il nuovo farmaco sui pazienti con tumore in fase molto avanzata, che non hanno risposto positivamente al trattamento con i farmaci di uso comune.

Il risultato è che quando viene messo in commercio un nuovo farmaco antitumorale, questo risulta indicato per il trattamento di un certo tipo di tumore “in fase avanzata”, cioè quando sono presenti metastasi.

Questo non significa che il farmaco non potrebbe essere utile anche nelle fasi più precoci della malattia, ma è solo conseguenza del fatto che i pazienti per i quali è stata dimostrata l’efficacia del farmaco erano affetti da un tumore metastatico.

È evidente che alla base di questa scelta ci sono motivi etici: non sarebbe giusto provare un farmaco nuovo su un paziente che potrebbe trarre beneficio da altri trattamenti già disponibili, perciò si procede per gradi.

Dopo aver dimostrato che il nuovo farmaco è efficace in pazienti per i quali non ci sono alternative terapeutiche, si progettano altri studi, nei quali per esempio si somministra a un gruppo di pazienti il farmaco che si sta studiando e a un altro gruppo di pazienti nelle stesse condizioni cliniche, un farmaco di cui già si conosce l’efficacia; in alcuni casi al posto del farmaco di confronto si somministra il placebo, cioè una compressa o una fiala che non contiene il principio attivo.

Questo tipo di studio si chiama studio controllato e permette di stabilire quale dei due farmaci sia più efficace e quindi da scegliere in quel tipo di pazienti.

Spesso questi studi vengono condotti in doppio cieco, cioè senza che nè il paziente nè il medico sappiano quali pazienti ricevono un farmaco e quali l’altro.

 

CONSENSUS CONFERENCES E LINEE GUIDA

Nuovi studi clinici vengono condotti incessantemente nei principali centri di ricerca e cura in tutto il mondo.

I risultati vengono presentati ai congressi medici, pubblicati sulle  riviste specialistiche e sempre più spesso sono disponibili su internet, dunque una gran mole di dati si accumula giorno dopo giorno e il medico che vuole tenersi aggiornato si trova a dover fare ordine tra una gran quantità di informazioni diverse e a volte anche contrastanti.

Da alcuni anni si è quindi diffusa la consuetudine, tra i maggiori esperti a livello internazionale, di riunirsi periodicamente in quelle che vengono definite “Consensus Conferences”, cioè riunioni nelle quali trovare un consenso sul da farsi.

I partecipanti a queste riunioni cercano di fare il punto sui dati emersi dagli studi clinici condotti su uno specifico argomento e dopo averli attentamente valutati, di definire una serie di indicazioni chiare e applicabili nella pratica clinica, dette linee guida.

In questo modo è possibile fornire ai pazienti, indipendentemente dal luogo in cui ci si trova, il migliore trattamento possibile per quel tipo di malattia, in quello specifico stadio di avanzamento, dove per migliore si intende quello che ha dimostrato di essere più efficace e/o meglio tollerato degli altri nel corso di studi clinici condotti, evitando di compiere scelte guidate magari soltanto dall’abitudine o dalla sensazione soggettiva del medico che un trattamento funzioni meglio di un altro.

 

CRITERI DI SCELTA DEL TRATTAMENTO

Alla fine di questo percorso è possibile raccogliere i diversi elementi che concorrono a orientare la scelta del medico che deve decidere come trattare il paziente.

Il primo elemento è costituito dalla malattia, diagnosticata e studiata accuratamente in modo da definirne lo stadio di avanzamento e le eventuali caratteristiche biologiche.

Quindi sulla base dei dati raccolti si analizzano le linee guida e i risultati degli studi clinici più rilevanti per valutarne i suggerimenti circa la scelta del trattamento più indicato.

Prima di decidere concretamente quale trattamento proporre è però necessario tenere conto anche di un altro fattore, che potremmo definire “fattore individuale”.

Non bisogna dimenticare infatti che ogni paziente è una persona diversa dalle altre e che quindi le evidenze scientifiche devono essere mediate con le esigenze della singola persona.

 

IMMUNOTERAPIA O TERAPIA BIOLOGICA

Quando il tumore diffonde a distanza, sia che questo accada al momento della diagnosi o in un secondo tempo, magari dopo un periodo di remissione della malattia, è necessario calibrare in modo adeguato gli interventi terapeutici.

Fondamentalmente bisogna fare affidamento sui trattamenti sistemici, tranne alcuni casi in cui si ritenga opportuno procedere anche all’asportazione di una metastasi isolata che crei particolari problemi a livello locale.

Questo cambio di prospettiva rispetto alla terapia del tumore localizzato non vuol dire che la guerra contro il tumore sia persa, anzi, come abbiamo già visto, proprio questa fase della malattia è la prima a poter usufruire dei nuovi farmaci appena ne viene autorizzata l’immissione in commercio, o ancora prima per chi abbia voglia di partecipare a uno studio clinico ed è quindi la prima a poter trarre dei vantaggi dagli ultimi ritrovati della ricerca.

Negli ultimi tempi, ferma restando la funzione fondamentale della chemioterapia, stanno assumendo un ruolo sempre più significativo altri tipi di terapia sistemica, identificati con il termine di immunoterapia o terapia biologica i quali, oltre a essere generalmente meglio tollerati rispetto alla chemioterapia, agiscono sulla neoplasia secondo un diverso meccanismo: non più il farmaco tossico che uccide le cellule tumorali e inevitabilmente danneggia anche alcune cellule sane, ma un farmaco intelligente, che in alcuni casi cerca di utilizzare i sistemi di difesa dell’organismo e che comunque è estremamente selettivo, ignorando le cellule sane e in certi casi addirittura rivelandosi adatto solo a uno specifico sottogruppo di pazienti tra quelli affetti da un determinato tumore.

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